Il tennis è lo sport del diavolo! Allena la mente per raggiungere i tuoi risultati
BY: Dott. Federico Sopetti
preparazione mentale
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“Il tennis l’ha inventato il diavolo” – A. Panatta
Il tennis è uno sport concettualmente molto semplice, vincere un punto sembra elementare: è sufficiente colpire la pallina, far sì che superi la rete e farla rimbalzare all’interno del campo dell’avversario una volta in più rispetto ad esso.
Vincere “un quindici” richiede una buona preparazione fisica -in quanto il giocatore deve sapersi muovere rapidamente su una superficie di quasi 100 mq compiendo continui brevi scatti in tutte le direzioni, contando su una buona resistenza che gli garantisca efficacia lungo tutto l’arco della partita-, una buona tecnica frutto di un duro allenamento -gli schemi motori elementari di questo sport, volti a eseguire servizio, diritto e rovescio, necessitano di un lungo training di propriocezione grazie a cui il giocatore impara e posizionare ottimamente il proprio corpo al fine di colpire la pallina in movimento trasferendo su di essa più energia possibile- ed una efficace tenuta mentale.
Il tennis è infatti uno sport in cui l’aspetto mentale è dominante, tanto da essere paragonabile ad una partita a scacchi in movimento.
È necessario essere capaci di gestire sia momenti chiave della partita ad elevata tensione -oltre alla tensione basale che accompagna l’atleta durante il corso di tutto il match, assente con tale costanza negli sport di squadra-, sia un aspetto squisitamente cognitivo relativo alla necessità di pensare i colpi per piazzarli strategicamente rispetto alla posizione dell’avversario, sia il senso di solitudine derivante dall’essere solo contro il proprio contendente e, talvolta, anche contro se stessi.
Su questo senso di alienazione che attanaglia alcuni giocatori sul campo da tennis, è chiaro Andre Agassi, campione americano considerato un grande interprete di questa disciplina, nella sua autobiografia:
“Il tennis è uno sport così maledettamente solitario. Soltanto i pugili possono capire la solitudine dei tennisti -anche se i pugili hanno i loro secondi e i manager. Persino il suo avversario fornisce al pugile una sorta di compagnia, qualcuno a cui può avvinghiarsi e contro cui grugnire. Nel tennis sei faccia a faccia con il nemico, scambi colpi con lui, ma non lo tocchi mai, nè parli a lui o a qualcun altro. Il regolamento vieta perfino che un tennista parli col proprio allenatore mentre è in campo” (Agassi, 2009).
L’equilibrio mentale precario talvolta caratterizzante i tennisti durante le competizioni può attraversare escalation in cui la rabbia non viene incanalata nel gioco ma espressa tramite forme di “acting-out”: difatti, è quasi uno stereotipo tennistico quello del giocatore che, infuriato per aver steccato un colpo a seguito di uno scambio faticoso, oppure a causa di discussioni con giudici e/o avversario, scaglia rabbiosamente la racchetta a terra frantumandola.
Possiamo quindi vedere il tennis come una disciplina che, per l’intenso e continuo grado di coinvolgimento emotivo, cognitivo e fisico, conduce il giocatore ad una stenuante lotta in cui è messo a nudo contro l’avversario, sè stesso e suoi eventuali conflitti.
Il tennis è perciò inquadrabile come disciplina a rischio di burnout (esaurimento nervoso), ossia una conseguenza, nel lungo termine, di uno squilibrio tra le risorse di coping dell’atleta e lo stress fisico, psicologico e sociale a cui è esposto a partire dall’allenamento fino alla competizione (Walker, 2013).
In generale, il burnout è una sindrome caratterizzata da tre aspetti principali:
- Esaurimento fisico ed emotivo;
- Un ridotto senso di realizzazione, che si manifesta comunemente con una performace fisica di qualità inferiore oppure come percezione soggettiva che l’atleta ha di incapacità a raggiungere obiettivi prefissati;
- Tendenza a disinvestire dallo sport praticato e a disinteressarsene (Raedeke, 2001)
Il burnout è connesso ad una serie di aspetti negativi per gli atleti, tra cui figurano: comportamenti di coping disfunzionali, depressione, riduzione della motivazione, riduzione dei miglioramenti a seguito degli allenamenti e ritiro dalle competizioni (Goodger, 2007).
Nella trattazione del burnout tra gli sportivi, è possibile focalizzarsi sia sui fattori che contribuiscono all’insorgenza del burnout sia sugli aspetti mentali che possono avere un ruolo protettivo a tale proposito (Baer, 2003).
La Mindfulness, uno degli approcci che insegno per incrementare la qualità della performance, è un’importante risorsa di coping nel caso di rischio di burnout, dato il suo essere generalmente associata al benessere psichico e ad una migliore performance in atleti olimpici (Jouper et al, 2013).
Walker, esperto medico sportivo sudafricano, ha indagato il ruolo protettivo della Mindfulness in relazione al burnout in tennisti adolescenti, dimostrando come ad un livello maggiore di mindfulness corrisponda una diminuzione significativa di burnout!
L’obiettivo dello studio è stato di indagare se in tale campione esistesse una relazione tra pratica della meditazione e burnout e, se così fosse, determinare se giocatori sottoposti a protocolli mindfulness di diversa intensità riportassero differenti livelli di burnout.
Inoltre, come è già stato dimostrato da altre ricerche (Ulmer et al., 2010), livelli di Mindfulness maggiori sono stati associati ad aumento del focus, capacità di crearsi immagini del qui ed ora più vivide ed una performance sportiva generalmente migliore.
Si può supporre che, mantenere un orientamento aperto e non giudicante rispetto all’esperienza del momento presente, faccia sì che atleti con un maggiore livello di Mindfulness siano meno portati a produrre critiche autovalutazioni o processi di pensiero ripetitivo spesso associati all’aumento di stress emotivo ed una ridotta soddisfazione per il generale livello di risultati in ambito sportivo (Fraser-Thomas et al., 2008; Harris et al., 2011; Baer et al., 2003).
Sapersi ascoltare, dare una buona attenzione alle sensazioni del proprio corpo durante l’attività fisica -concentrandosi quindi, per esempio, sulle sensazioni del respiro e della circolazione del sangue ossigenato che giunge a tutti i tessuti muscolari irrorandoli dopo un lungo e faticoso scambio- permette di distogliere l’attenzione dai pensieri discorsivi che inondano la mente di molti tennisti distraendoli da cosa sta accadendo nel qui ed ora: vi è una differenza rilevante tra l’approcciarsi ad una seconda di servizio incuranti delle proprie sensazioni ed accompagnati da un pensiero negativo che, come una profezia che si autoavvera, convince il giocatore dell’impossibilità di evitare un doppio fallo indirizzando la pallina in rete oppure fuori, rispetto invece all’approcciarsi ad un servizio accogliendo i pensieri sopraccennati ma rivolgendo l’attenzione verso le sensazioni di contatto dei piedi con la superficie del campo, del movimento complesso che si sta per compiere, del suono e delle vibrazioni provenienti dal contatto della pallina con le corde della racchetta.
Sono probabilmente suddette forme di ruminazione (continui pensieri che affollano la mente su cosa è successo e su cosa accadrà) motivo di facilitazione dei comportamenti di acting-out nei tennisti professionisti e non: una scorretta chiamata da parte di un giudice di linea o un colpo sbagliato possono essere motivo scatenante delle rabbia lentamente e nascosta alimentata dai pensieri ruminativi.
Bibliografia:
Agassi, A., (2009). Open, La mia storia [Open. An autobiography], Torino: Einaudi
Walker, S. P. (2013). Mindfulness and burnout among competitive adolescent tennis players. South African Journal of Sports Medicine, 25(4), 105-108.
Raedeke, T.D., Smith, A.L., (2001). “Development and preliminary validation of an athlete burnout measure”. In Journal of Sport and Exercise Psychology, 23, 4, pp. 281-306.
Goodger, K., Gorely, T., Lavallee, D., Harwood, C., (2007). “Burnout in sport: A systematic review”. In Sport Psychologist, 21, 2, pp. 127-151.
Baer, R.A., (2003). “Mindfulness training as a clinical intervention: A conceptual and empirical review”. In Clinical Psychology Science and Practice,10, 2, pp. 125-143.
Jouper, J., Gustafsson, H., (2013). “Mindful recovery: A case study of a burned out elite shooter”. In Sport Psychologist, 27, 1, pp.92-102.
Ulmer, C.S., Stetson, B.A., Salmo, P.G., (2010). “Mindfulness and acceptance are associated with exercise maintenance in YMCA exercisers”. In Behavioural Research and Therapy, 48, 8, pp. 805-809.
Fraser-Thomas, J., Côté, J., Deakin, J. (2008). “Understanding dropout and prolonged engagement in adolescent competitive sport”. In Psychology of Sport and Exercise, 9, 5, pp 645-662.